Barbara Fontana Ozawa è nata tra tessuti, forbici e aghi. Ci racconta: “Non ricordo un tempo in cui, dalla mia prima infanzia, non ci fosse qualche capo di abbigliamento in fase di esecuzione, sul tavolo di casa. Le mie nonne erano entrambe sarte.
Una, in particolare, la nonna paterna, aveva studiato a Torino, negli anni 30, quando il fashion system milanese non esisteva e la classe aristocratica torinese dettava ancora le linee dello stile e dell’eleganza. Era una moda fatta su misura per il cliente e sviluppata con il cliente. I materiali, provenienti dalle lanerie biellesi, dalle seterie comasche e dai cotonifici lombardi, erano eccezionali e le rifiniture dei capi, nonostante gli scarsi macchinari, erano perfette. Quel “fatto a mano”, quel sapore artigianale che ha sempre caratterizzato il “saper fare” italiano.
Un talento insito nel nostro DNA che dobbiamo cercare, in ogni modo, di proteggere e far rifiorire. Mia nonna eseguiva ricami complicatissimi con una maestria e velocità che non mi è piu’ capitato di vedere. Lavorava a maglia mentre guardava la televisione e dalle sue mani uscivano merletti leggeri ed incredibilmente eleganti o maglie sportive maschili, con punti complessi, pesanti e calature perfette. Confezionava camicie da uomo, con le stecche nel colletto, in pochissimo tempo. Ricordo le camicie bianche stirate con un ferro senza vapore. Era solita passare un sale particolare sulla piastra del ferro, per evitare che si ingiallisse e rovinasse il candore del tessuto.
Ero affascinata da quella straordinaria abilità nel creare. Credo di avere incominciato a maneggiare ago e forbici all’età di sei anni. Mi piaceva anche moltissimo imparare ed inventare nuovi punti a maglia e all’uncinetto. Con la mia nonna materna, confezionavamo abiti bellissimi per le bambole. Anche nel disegno, il mio interesse è sempre stato catturato dalla figura umana, soprattutto femminile, fin da bambina.
Alle superiori, presi a collezionare la rivista LEI. Mi piaceva la qualita’ artistica delle immagini. I primi Dolce & Gabbana, Byblos e tutti gli altri grandi. Foderavo tutti i libri di scuola con le pagine che staccavo dalla rivista LEI, così, anche le materie più noiose, diventavano un po’ più simpatiche.
Iniziai a confezionare i miei abiti da sola, utilizzando i meravigliosi tessuti del nostro territorio e ispirandomi alle immagini delle riviste di tendenza. Quando nacquero le mie bambine, (ero davvero molto giovane) misi tutta la mia creatività nel confezionare abiti per loro. Dalle felpe agli abiti da cerimonia, fino agli abiti di carnevale che riscuotevano sempre enorme successo.
Con la loro nonna paterna, facevamo maglie stupende, a mano e a macchina, con le brother e le toyota. Mi piaceva creare disegni ad intarsio e poi ricamarli a mano per creare effetti di tridimensionalità. Erano sempre vestite come delle piccole modelle. Fu allora che decisi di iscrivermi ad una scuola di moda. Al mio primo anno, disegnavo già come gli studenti del quinto anno. E da li, incominciò la mia carriera, quasi per caso. Affiancando grandi professionisti, in aziende molto importanti, con grandissima umiltà, mi è stato possibile lavorare e imparare in quasi tutti i settori; dal capo spalla alla maglieria, alla pelle e pellicceria, fino all’accessorio.
Ho lavorato spesso per il teatro e la danza che adoro. Ho anche creato una linea di abbigliamento high tech per danza e sport con componente artistica. La passione e curiosità per la materia, il prodotto, l’oggetto ben fatto (capo di abbigliamento o accessorio che sia), mi ha sempre aiutato a capire come utilizzare un materiale al meglio delle sue possibilità estetiche e funzionali. Oggi, la curiosità mi porta a sperimentare, in collaborazione con giovani designers, ingegneri e artisti, le nuove frontiere dell’IT, applicato al design e alla moda, con le sue espressioni virtuali dalle grandi potenzialità, sia nel campo della progettazione che nel marketing.
La mia filosofia si fonda su principi della cultura giapponese che descrivono perfettamente anche il genio creativo italiano: Satori, una sorta di illuminazione che deriva dalla concentrazione che si pone nel lavoro che si sta facendo e Kaizen, il principio del miglioramento continuo. La mia password costante e’ ETICA, senza la quale, secondo me, la civiltà e il mondo stesso, non si possono reggere, ne tanto meno avere un futuro.
Vorrei concludere con due citazioni che condivido pienamente. Trovo che quella di Brooke McEldowney si adatti perfettamete anche alla vita in generale: la più grande opera d’arte! Di conseguenza , quella di Stanislaw Jerzy Lec, che trovo assolutamente geniale!